Davide Martinelli

Davide Martinelli: il mio primo Giro? Un sogno realizzato

Un intero servizio a Martinelli Jr. E se l’è meritato. Tuttobiciweb – che si definisce il sito di di riferimento del ciclismo italiano – ha pubblicato una lunga intervista a Davide Martinelli, che a 24 anni è riuscito a portare a termine il suo primo giro d’Italia sotto le insegne della Quick-Step Floors (la formazione che a livello di vittorie parziali ha dominato la corsa, con 5 vittorie di tappa). Un risultato importante per il figlio di Giuseppe (medaglia d’argento alle olimpiadi e attuale direttore sportivo dell’Astana), che ha esordito tra i prof nel 2016 lasciando subito il segno e ottenendo due vittorie in Francia e Polo­nia.

RIPORTIAMO ALCUNI SPUNTI DELL’INTERVISTA DI VALERIO ZECCATO, CHE TROVATE INTEGRALMENTE QUI:

Davide, il primo Giro d’Italia.

«Ci pensavo mentre facevo la valigia a casa mia e ricordavo i sogni che facevo da bambino guardando la televisione. Stavolta sono andato da mamma e le ho detto: ciao prendo l’aereo e vado al Giro. Incredibile ma vero!».

Papà “Martino”.
«In corsa ci si vedeva naturalmente, più o meno al mattino e alla sera qualche parola siamo riusciti a dircela. È importante per me sapere le sue im­pressioni, per capire cosa pensa lui: dall’ammiraglia cogli un po’ di retroscena diversi, e poi mi può sempre da­re qualche piccolo indizio in più, che magari in gruppo ti sfugge e che invece può essere importante sapere. Qualche consiglio da papà a figlio certo ci scappa, ma siamo in due team diversi e quindi giustamente abbiamo ruoli, compiti e obiettivi differenti. Prima della cronometro finale ci siamo parlati un attimo, mi ha detto “prova a spingere”, gli ho risposto che non avevo più niente da dare».

Cosa ti ha insegnato il primo Giro della tua giovane carriera?
«Che la terza settimana ti presenta il conto! Quello che hai speso prima, co­me ad esempio ho fatto io nella tappa di Bergamo, lo paghi subito, come mi aveva peraltro già spiegato il mio compagno di camera Capecchi. Me l’avevano detto, papà per primo, ma provarlo sulla tua pelle è diverso: ora so cosa significa “salvare la gamba”».

Cosa ti porti a casa?
«Tanta emozione, infinita, tappa dopo tappa. Nella prima frazione, ad esempio, nel finale pensavo a tante cose, al fatto che era la prima volata del Giro e che si assegnava la maglia rosa. Quella maglia che io sogno sin da bambino di indossare un giorno. E ti accorgi, mentre sei in mezzo al gruppo, che tutto può accadere e delinearsi in un attimo dopo tanti chilometri di gara. Sensa­zioni impagabili, come quella dell’ultima tappa da Monza a Milano. Non dovevo forzare, anche perché non ne avevo più, ed è stata una goduria pedalare “sul velluto” tra ali di folla sulla strada. Ho fatto il conto alla rovescia: meno 5, meno 4, meno 3

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