L’assegno divorzile e la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 11504 del 10.05.2017 : facciamo un po’ di chiarezza.
A cura dell’Avv. Michela Pinelli, foro di Brescia
La recente sentenza che andrò ad analizzare, in materia di assegno divorzile e suo riconoscimento, ha suscitato un gran “polverone” mediatico, creando una serie di dubbi interpretativi tra i soggetti non addetti ai lavori.
Per fare un po’ di chiarezza facciamo un passo indietro.
Nell’ambito di assegno divorzile, previsto dall’art. 5 comma 6 L.D. e avente natura assistenziale, bisogna distinguere tra i presupposti per l’attribuzione (an) e criteri per la quantificazione (quantum).
Sarà, pertanto, necessario valutare in primo luogo se il coniuge richiedente ha diritto a tale assegno e successivamente, solo in seguito a valutazione positiva, quantificare tale emolumento.
Circa i presupposti per l’attribuzione, secondo il vigente art. 5, comma 6, L.D., l’assegno di divorzio spetta al coniuge quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
In che caso i mezzi possono essere considerati adeguati?
In passato sussistevano due orientamenti:
– secondo il primo, l’adeguatezza dei mezzi andava valutata secondo il tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale, quindi i mezzi del coniuge richiedente erano adeguati se riuscivano a garantire tale tenore, e in tal caso non spettava alcun emolumento,
– secondo l’altro orientamento, i mezzi erano adeguati se garantivano l’indipendenza economica del coniuge relativamente ad un tenore di vita dignitoso.
Nel 1990 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass. 11490/1990) risolvevano il contrasto in favore del primo orientamento: “l’accertamento del diritto di un coniuge alla somministrazione di un assegno periodico a carico dell’altro va compiuto mediante una duplice indagine, attinente all’an e al quantum; il presupposto per concedere l’assegno è costituito dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare il tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’avene diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo, che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio”.
Tale sentenza, per anni, è stata dominante.
La sentenza della Cassazione n. 11504/2017 si dissocia da tale orientamento ritenendolo, a distanza di 17 anni, non più attuale, in considerazione dell’evoluzione del costume sociale.
Secondo tale pronuncia, con la sentenza di divorzio il rapporto coniugale si estingue non solo sul piano personale ma anche su quello economico-patrimoniale, sicchè ogni riferimento a tale rapporto, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita, finisce illegittimamente per ripristinarlo, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale.
L’adeguatezza dei mezzi, pertanto, va riferita all’indipendenza/autosufficienza economica del coniuge richiedente e non più al tenore di vita goduto durante il matrimonio: se il soggetto è autonomo economicamente (o è in grado di esserlo) nulla gli va riconosciuto.
Il coniuge richiedente dovrà dimostrare di non avere mezzi adeguati per l’indipendenza economica e provare altresì di non poterseli procurare per ragioni oggettive, in caso contrario non avrà diritto all’assegno post-matrimoniale.
L’indipendenza economica sarà desumibile dai seguenti indici, specificati dalla Cassazione:
- Possesso di redditi di qualsiasi tipo
- Possesso di cespiti mobiliari e immobiliari e relativi oneri,
- Capacità e possibilità di lavoro personale (in relazione a salute, età, sesso, mercato del lavoro),
- Stabile disponibilità di una abitazione.
Una volta accertato positivamente il diritto all’assegno divorzile, si passa alla seconda fase della quantificazione dello stesso (quantum) in base ai parametri previsti dall’ordinamento, ossia le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e reddito di entrambi, anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Per concludere questa analisi, vorrei sottolineare che si tratta comunque di una sentenza (pur importante essendo stata emessa dalla Suprema Corte di Cassazione) e non di una legge: pertanto la stessa non è vincolante per i Giudici che, in materia di assegno divorzile per l’ex coniuge, possono non aderirvi e basarsi sull’orientamento precedente.
Vedremo se ne seguiranno altre dal medesimo contenuto e se interverrà una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.