Con una lettera fiume, il sindaco di Rovato Tiziano Belotti ha preso carta e penna per scrivere al prefetto Valerio Valenti, affermando che “in 26 anni la città di Rovato ha accolto 5.000 stranieri” e aggiungendo che “ora la misura è davvero colma, perché a tutto, anche alla generosità innata vi è un limite”.
ECCO IL TESTO INTEGRALE
Signor Prefetto, mi permetta una breve riflessione. Sono certo comprenderà. Sono 26 anni di lunghissima ed infinita emergenza. Ventisei anni nei quali i nostri piccoli paesi e le nostre piccole cittadine hanno accolto ed hanno dato ospitalità ai migranti di mezzo mondo, subendo in assoluto silenzio uno stravolgimento epocale, mai visto nella nostra lunghissima storia millenaria. Noi che del nostro territorio siamo stati gelosissimi custodi e guardiani per secoli, noi che fino a ieri avevamo città serrate da mura, baluardi, terrapieni e porte imprendibili, noi che abbiamo combattuto battaglie epiche per difendere la Patria dagli invasori, abbiamo subito questa strana ed incredibile occupazione di popoli da tutto il mondo. E senza mai alzare la voce, con quella sorta di latente e silenziosa generosità che ci portiamo dentro. E tutto è successo improvvisamente, nel giro di pochi anni, senza alcun preavviso, prima con la dissoluzione della dittatura comunista Jugoslava e poi con le tumultuose vicende mediorientali, nord africane, centrafricane ed esteuropee. Migrazioni di popoli dovuta essenzialmente a questioni economiche e di pesante miseria, e a volte, ma più raramente, per fuggire da conflitti e guerre interne. Una migrazione fortemente incentivata ed incanalata da enormi organizzazioni del traffico clandestino. Sicché, per assurdo, solo chi ha potuto permettersi di pagare il trafficante ha potuto concedersi il lusso di emigrare. Il miserabile, quello vero, non troverà mai il denaro per poterlo fare.
Una immigrazione che più di recente è stata sostenuta anche da flussi del tutto imprevedibili, e provenienti da Cina, Indocina, America latina. In 26 anni la città di Rovato ha accolto 5.000 stranieri. Gli ha dato un alloggio decoroso, gli ha garantito il necessario sostentamento, gli ha dato una occupazione, gli ha messo a disposizioni i propri servizi e le proprie scuole. Ha tentato insomma di accogliere nella maniera più dignitosa tutti quelli che hanno bussato alla sua porta, anche i più disperati. Lei sa bene infatti Signor Prefetto che la nostra non è mai stata una immigrazione cernita e selezionata come quella voluta della Signora Merkel, ma una immigrazione caotica e sregolata e di gente povera, per l’evidente incapacità dello stato italiano di guidarne le dinamiche. Ma nonostante tutto, la città di Rovato, al pari di mezza Italia, ha sopportato con enorme equilibrio questa improvvisa ed inaspettata invasione, tant’è che i momenti di forte tensione sono stati solo occasionali, anche se taluni davvero gravissimi.
Al di là di ogni considerazione soggettiva, restano però i numeri a mettere a nudo quanto avvenuto in pochissimi anni nella mia città. Che, detto tra noi, ha quasi dell’incredibile. Partiamo dal 1990. All’epoca Rovato contava 13.045 residenti, tra i quali vi erano la bellezza di 106 cittadini stranieri, 84 maschi e 22 femmine (dati ufficiali trasmessi a suo tempo alla Prefettura). Fra questi vi erano 46 marocchini, 17 senegalesi, 11 ghanesi e 6 egiziani. Poi quasi più nulla. Nel 2016, dopo soli 26 anni, ci siamo ritrovati con una popolazione totale lievitata a 19.218 abitanti e con una popolazione di stranieri pari a 4.135 anime oltre a circa 800 rovatesi con la cittadinanza italiana acquisita dopo la nascita, ovvero cittadini di origine straniera naturalizzati italiani. Ed in questi numeri non compaiono coloro che sono senza documenti, e che pure sono tanti, ma invisibili. Ergo, Rovato conta una popolazione straniera ufficiale pari al 21,5%, ed una popolazione totale di origine straniera di oltre il 25%. Nessun altro comune della provincia può vantare questi numeri. Nell’intorno per esempio Chiari ha una popolazione straniera pari al 17,7%, Ospitaletto e Palazzolo 17%, Travagliato 11,2%, Cazzago 7,3%, Adro 6,1%. La città di Brescia, capoluogo di provincia, ha una popolazione straniera pari al 18,6%. Altro dato incredibile, la popolazione straniera in Rovato proviene da oltre 60 paesi diversi, di tutto il mondo: Africa, Asia, Europa e America.
Questa situazione ha ed avrà evidentemente dei grandissimi riflessi sull’immediato futuro. E pure sul presente, a cominciare dalle scuole. Nelle Elementari del centro i piccoli alunni di origine straniera sono quasi il 70%, mentre nella scuola materna statale superano l’80%; significa che nelle classi vi sono al massimo 4/5 bimbi italiani con circa 20 stranieri di una decina di nazionalità diverse. In tutte le classi, nessuna esclusa. Oltre il 70% degli atti di nascita registrati a Rovato riguardano bambini stranieri e/o trascrizioni di atti di nascita esteri relativi a cittadini stranieri che acquistano la cittadinanza italiana, e quindi il trend non potrà che inasprirsi ulteriormente. Vi sono poi riflessi pesantissimi sul mondo del lavoro e sulle assistenze sociali. Le risorse a disposizione dei Comuni sono sempre meno, per una economia che ristagna da anni e per una drastica diminuzione dei trasferimenti statali agli Enti locali. Stanno andando, o sono già andate in crisi intere famiglie di imprenditori, di commercianti e di artigiani locali, soffriamo fenomeni di disoccupazione mai visti prima dalle nostre parti, abbiamo anziani e disabili che faticano a far fronte alle spese sanitarie, gente che non riesce a pagare le bollette, giovani disperati senza alcun futuro.
E cosa facciamo in Italia? Continuiamo a subire ondate migratorie senza alcun criterio, pur sapendo bene che questi disperati, senza arte ne parte, non potranno avere una vita tranquilla, ma anzi saranno facile preda di un mondo delinquenziale fatto di spaccio, di prostituzione, di contraffazione, di furti e di illusioni al guadagno facile. Oppure di miseria, di tristezza e di abbandono. Ingredienti tutti che alimentano e che alimenteranno sentimenti negativi, di rivalsa, di vendetta e di conflitto verso un mondo occidentale che non ha saputo dare risposte serie. Elementi deflagranti che aspettano solo la scintilla giusta per esplodere, e che devono fare riflettere, ora che siamo ancora in tempo per farlo, forse. Forse appunto, perché in questi anni troppo poco si è fatto per forgiare un paese Italia con regole certe, precise e sicure. Non ci si può riempire solo di diritti e di garanzie. Bisogna avere una giustizia giusta, la certezza della pena, e la tranquillità di vivere nella normale sicurezza di un normale paese civile, altrimenti è e sarà solo caos. Signor Prefetto, in questi 26 anni abbiamo accolto, passivamente, senza alcuna discriminazione e senza alcuna distinzione, i poveri e i disgraziati di mezzo mondo.
Ora la misura è davvero colma, perché a tutto, anche alla generosità innata vi è un limite. Non vi è posto in Italia per i 4 miliardi di persone al mondo che vivono con meno di 2 dollari al giorno. La mia comunità non si è mai tirata indietro di fronte alla gravità del fenomeno immigrazione, al dovere di ospitalità ed accoglienza, ma ora quel tempo è finito. E’ finito perché quello che avevamo da dare è stato dato e perché i risultati delle ondate migratorie sono sotto gli occhi di tutti. E’ inutile nascondere la testa sotto la sabbia. Quello che sta succedendo è deleterio per noi, che subiamo una occupazione incontrollata che troppo spesso sfocia in manifestazioni delinquenziali reiterate ed impunite, ma è dannoso pure per quei paesi che perdono senza ritegno parte della loro giovane popolazione. Si rischia in pochi anni d’avere un ricambio epocale ed incontrollato della nostra popolazione, uno sradicamento violento della nostra identità storica a fronte di una società futura pasticciata ed indefinita, ricolma di contraddizioni irrisolte e probabilmente irrisolvibili. Sappiamo bene infatti, anche se tendiamo tutti a negarlo per paura o per codardia, che certe espressioni social-religiose sono e saranno gravemente incompatibili con la nostra millenaria cultura cristiana. E che l’integrazione, cioè quella condivisione di valori e di pensiero tanto auspicata dai benpensanti, può avvenire soltanto se v’è la piena disponibilità da entrambe le parti in gioco, mai a senso unico. E l’integrazione non si costruisce a suon di blablabla nei talk show televisivi, ma con processi impegnativi che possono durare anche diverse generazioni. A dirla tutta, penso che abbiamo superato il punto di non ritorno già da tempo. E stiamo consegnando un futuro con gravissime incognite e con pochissime speranze ai nostri figli.
L’incapacità dello Stato centrale nel governare le dinamiche immigratorie è ormai ampiamente acclarata e le conseguenze di tale inettitudine ricadono tutte e direttamente sugli enti locali e sulla gente. Non si tratta più di discutere quanto la coperta sia corta e quali spazi residui possano ancora essere riempiti. Si tratta solo d’avere un po’ di buon senso e di prendere atto del totale fallimento di questa politica ebete dell’ospitalità sconsiderata ad ogni costo. Si tratta di ascoltare la gente e d farsi carico, finalmente, del grido di preoccupazione e di sofferenza che arriva da tanta parte della popolazione. E’ da sciagurati irresponsabili voler cancellare con un colpo di spugna l’identità di una Città dalla storia millenaria. Io rimango geloso del mio Paese, sono fiero d’essere italiano e sono orgoglioso della mia italianità. Sono orgoglioso d’essere Lombardo, Bresciano e Rovatese. Rispetto lo straniero, ma mi sento in dovere di portare rispetto anche e soprattutto alle centinaia di migliaia di italiani che appena nel secolo scorso sono caduti per difendere la nostra Patria dalle invasioni di altri popoli. E ci hanno consegnato un paese libero, giusto e democratico; lo stesso che abbiamo il dovere di consegnare ai nostri figli. Questa non è retorica, Sig. Prefetto, è semplice realismo. La misura è colma, e l’equilibrio è pericolosamente instabile e precario. Rischiare di andare ancora oltre è un azzardo che può costarci carissimo. E io, come sindaco e come rappresentante della città di Rovato mi rivolgo a Lei, massima autorità dello Stato in terra bresciana, per dirle pubblicamente che non posso, e non voglio essere complice di tanta bieca e latente ottusità. Sono certo comprenderà.
Con profondo rispetto e con viva stima, Tiziano Alessandro Belotti, Rovato