Michela Pinelli

L’AVVOCATO RISPONDE: risarcimento danni da nascita indesiderata?

Risarcimento del danno da nascita indesiderata: onere della prova ed esistenza, o meno, del diritto a non nascere se non sani.
Cass. SS UU del 22.12.2015 n. 25767
A cura dell’Avv. Michela Pinelli, Foro di Brescia.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state chiamate a risolvere un contrasto giurisprudenziale in tema di onere della prova nel risarcimento del danno da nascita indesiderata.
Secondo l’orientamento meno recente “corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto” (Cass. 15386/2011 – n. 22837/2010 – n. 6735/2002).
Per l’orientamento più recente, invece, deve essere esclusa la presunzione semplice e la gestante deve dimostrare che se informata delle malformazioni del feto avrebbe interrotto la gravidanza (Cass. 12264/2014-27528/2013).
Per dirimere il contrasto le Sezioni Unite partono dall’analisi della L. 22 maggio 1978 n. 174 che ha introdotto la possibilità di ricorrere all’aborto nel rispetto di condizioni rigorose fuori dalle quali l’aborto resta un delitto.
Secondo la sentenza in esame, l’impossibilità della scelta della madre imputabile a negligente carenza informativa del medico curante è fonte di responsabilità civile: “La gestante, profana della scienza medica, si affida ad un professionista sul quale grava l’obbligo di rispondere in modo tecnicamente adeguato alle sue richieste”.
L’onere della prova grava sull’attrice, ossia la donna gestante, ed oggetto della prova è un fatto complesso composto da: rilevante anomalia del feto, omessa informativa del medico, grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna, nesso eziologico tra anomalie e grave pericolo per la salute della donna, e infine, la scelta abortiva.
L’ultimo punto è il più delicato e difficile da dimostrare poiché verte su un fatto psichico, un’intenzione della donna a abortire nel caso in cui fosse venuta a conoscenza delle anomalie del feto.
La donna deve dimostrare, attraverso una serie di circostanze (ad es pregresse manifestazioni di pensiero) la propria volontà abortiva in caso di gravi malformazioni del feto.
No al danno in re ipsa ma si alla prova presuntiva che può essere in concreto dedotta da fatti allegati.
Altro tema affrontato dalla Suprema Corte è il seguente: sussiste la legittimazione del neonato, affetto dalla sindrome di Down, a chiedere il risarcimento del danno per impossibilità di una vita sana e dignitosa nei confronti del medico e della struttura ?
Secondo la sentenza in esame non si può parlare di un diritto a non nascere, l’ordinamento non riconosce un diritto alla non vita, un diritto a non nascere se non sani.
La vita è il bene supremo tutelato dall’ordinamento : “Non si può parlare di un diritto a non nascere; tale, occorrendo ripetere, è l’alternativa; e non certo quella di nascere sani, una volta esclusa alcuna responsabilità , commissiva o anche omissiva, del medico nel danneggiamento del feto. Allo stesso modo in cui non sarebbe configurabile un diritto al suicidio, tutelabile contro chi tenti di impedirlo: ché anzi, non è responsabile il soccorritore che produca lesioni ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte (stimato, per definizione, male maggiore). Si aggiunga che seppur non è punibile il tentato suicidio, costituisce, per contro, reato l’istigazione o l’aiuto al suicidio (art. 580 cod, pen,): a riprova ulteriore che la vita – e non la sua negazione  – è sempre stata il bene supremo protetto dall’ordinamento”.
Riconoscere tale legittimazione aprirebbe la strada al riconoscimento di una responsabilità nei confronti della madre che, pur informata, ha portato a termine la gravidanza,.
La Suprema Corte richiama alcune sentenze straniere, tra le quali la Cour de Cassation francese, assemblée pléniere 17 novembre 2000 che stabilisce che “nessuno può far valere un pregiudizio derivante dal solo fatto della nascita e che la persona nata con un handicap dovuto a colpa medica può ottenere il risarcimento quando l’atto colposo ha provocato direttamente o ha aggravato l’handicap, o non ha permesso di prendere misure in grado di attenuarlo”.

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